Ne parlavo l'altro giorno a un importante colloquio di lavoro, con
dirigenti di alto profilo e ora ne rifletto anche sentendo parole di
altri.
A volte mi domando quanto si dà tanto per la
propria professione, e l'Italia non è certo un terreno di gioco
favorevole. Ho avuto una vera e propria azienda per quindici anni, cosa
che in periodo di crisi è da considerare di tutto rispetto, come mi ha fatto notare l'altro giorno un influente dirigente regionale. Ma la durata è stata dettata soprattutto dalla volontà di crederci, strumento necessario per portare avanti quel lavoro, insieme a chi ha
deciso di andare avanti con me e che ancora oggi è degno della mia stima.
Oltre la buona
volontà, oltre la capacità, oltre il buon curriculum: l'ottimismo era
sempre, più del know-how, l'arma per poter creare il nostro spazio in una
realtà difficile come quella del nostro Paese. Le soddisfazioni sono
state veramente tante, al di sopra di tutti gli ostacoli che si ponevano
davanti. Gli incidenti di percorso c'erano (clienti scomparsi prima di
pagare il prodotto avuto, giusto per fare un esempio, il caso più eclatante), la concorrenza era
spietata, ma certo non erano le cattiverie che si vedono in altri ambiti
come l'arte e la cultura, dove invece tanti finti "uomini" si credono di
essere prime donne tentando di usare, inutilmente, l'arma della bugia
perché non hanno quella della qualità.
Nell'attività
che ho svolto, principalmente il programmatore di computer, ho visto
amici e colleghi anche fra chi non conoscevi. Tranne rarissimi casi
di gelosie (ma erano i casi isolati, e ne posso contare veramente
pochissimi), di solito ci si aiutava, consapevoli che ognuno dei lavori
era destinato alla propria clientela. Erano incarichi pagati anche
bene, ma contrariamente a quanto si poteva immaginare, nessuno cercava di
prendere il lavoro dell'altro, di sottrarlo con armi improprie, cosa che
invece avviene, paradossalmente, dove i soldi non ci sono o, quando anche ci sono, si quantificano giusto in quello che aiuta a recuperare il viaggio in macchina o in autobus. Ma
oggi, in nome della propria immagine, c'è chi prevarica e si introduce
in quello che non gli compete, in nome non più del Dio Denaro, ma di una
divinità peggiore, la Dea Immagine.
Avevo 16 anni
quando ho scritto il mio primo programma per computer. Su carta, non
avevo nemmeno il computer a casa, passai il listato a mia sorella che
faceva lezioni private a un possessore di un Commodore 64 in modo che lo potesse digitare e far funzionare. Poi, ho
sudato tanto, imparando a programmare a fondo lo Zx Spectrum, e quindi il
PC, per mia passione ma perché pensavo un giorno di poter avere una
attività redditizia contutto quello. E in realtà il sogno si è avverato,
la "Formamedia" è esistita per tanti anni, grazie anche a quel know-how,
ma come dicevo prima, con la forza di volontà e l'ottimismo che era mia
prerogativa. Solo una crisi economica, le tasse che ti schiacciano e
niente più ha portato alla chiusura di un marchio che definirei storico
per me e chi l'ha condotto come me.
Credere, essere
ottimisti, ma soprattutto amare il proprio lavoro. Ma non è che
l'informatica, la videoripresa, la fotografia, il giornalismo,
tutti mestieri da libero professionista, ti aiutino tanto a mantenere
solidi quei principi. Eppure lo faccio, a denti stretti, perché l'amore
per il mio lavoro e per me stesso mi conduce anche a farlo bene. Non
sempre entrano soldi, anzi, si investe molto di più nel tempo e nel
denaro di quanto lo facessi prima, ma è indispensabile.
E'
giusto e sacrosanto essere riconosciuti economicamente nel
proprio lavoro, ma è giusto anche dare a quel lavoro anima, emozione,
pensiero perché venga svolto nel migliore dei modi anche quando non c'è
un immediato rientro.
Non ho mai vissuto di privilegi,
non ho mai sopportato chi vuole campare sulle spalle degli altri,
convinto di poter avere tutto solo per diritto. Ma quale diritto, questo è un
mondo di doveri, innanzitutto, e non solo di diritti. Il dovere è dare il
proprio contributo con amore, senza pensare solo a privilegi,
certo senza mai perdere la propria dignità, ma senza dimenticare che, in un
momento di crisi senza precedenti, esistono anche i sacrifici, e invece cosa noti? Vedi che, non solo
nel pubblico impiego, ma anche nel libero professionismo si gioca di
mentalità di assistenzialismo, di privilegi, di diritti da acquisire ipocritamente, viceversa osservi che sono realmente
pochi quelli che investono tempo e denaro (due realtà equiparate,
perché il TEMPO E' DENARO!) per costruire il proprio futuro in una
economia sempre più difficile.
Ancora ancora, lo
riuscivo a capire e a tollerare in un lavoro pubblico, dove ci sono
sempre diritti acquisiti per la logica del posto fisso, ma mi
rincresce tantissimo vedere una logica simile in molti "privati", e in
tutti i settori, compreso quello, ma non solo, dell'attività
imprenditoriale. Per carità, questa non è professionalità, è egoismo,
opportunismo, meschinità, cattiveria nei confronti di chi vuole credere
ancora e di conseguenza investe tanto in sé stesso pur alla fine di
riuscire a essere un nome nella società.
Per me, vivere
vicino alle persone che del privilegio ne fanno pane quotidiano, non è
assolutamente facile, e se posso le allontano; e se proprio non mi è consentito, allora gioco
di compromesso (perché la vita è anche questo, ma non consideriamola una cosa scandalosa se capiamo esattamente cosa vuol dire...), ma giusto il
tempo che sia realmente necessario: preferisco non mangiarci assieme allo stesso tavolo,
non confidarmi con loro, non essere loro amico, non amarli. Per fortuna,
sono pochi in confronto ai tanti, trovo sempre più accanto a me persone
volenterose di crescere professionalmente e umanamente, che quindi ti
rispettano e di conseguenza avranno rispetto.
Ed è proprio il rispetto, e non certo l’egoismo e l’opportunismo, che ci condurrà, pur se lentamente, in un sistema migliore.
Riflettiamo.
19/01/2015
DAVIDE GUIDA