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venerdì 30 gennaio 2015

L'orgoglio per la propria professionalità per guardare sé stessi "in alto", non gli altri "dall'alto"

Qualche volta mi arriva all'orecchio la voce che io mi vanti un po' troppo della mia professionalità.

In realtà ne approfitto per percorrere, giusto per un attimo, i miei ricordi.

Mettere a 16 anni per la prima volta le mani su un Personal Computer, per scrivere un programmino che faceva scivolare un paracadutista sul pavimento. Poi studiare giorno e notte per imparare ciò che i corsi di studio appena ti accennavano, iniziare a lavorare a 26 anni, dipendendo da alti dirigenti che non sapevo nemmeno come trattare per accontentare, e poi, avere poi un'azienda a tutti gli effetti - con soci e partita iva - per quindici anni, dico quindici, con i problemi che ne conseguivano: tasse da pagare, controlli fiscali, clienti pluri-ritardatari nei pagamenti, tentativi e certezze di truffe subite, clienti arrivati, andati via, tornati; notti passate insonni a scrivere programmi da consegnare, o a preparare i corsi di formazione, diretti spesso a persone che di formarsi non avevano nessuna intenzione... partecipazione a bandi di gara dove bisognava vincere solo sul prezzo più basso, telefonate di clienti in preda al panico per un blocco al sistema, computer rotti o impazziti sui quali non sapevi più come metter mano, collaboratori esterni che producevano solo all'1% di quello che avremmo voluto e che pensavano pure di avere ragione. Tutto questo, combinato alla volontà personale di acquisire sempre più conoscenze per rimanere a galla, e di trovare nuovi prodotti e servizi di interesse, per un pubblico di clienti che viveva la crisi e non aveva voglia di investire denaro.

Tutto questo lo portavo con una grande voglia di ottimismo, perché l'unico modo per sopravvivere in crisi economica era quello di credere in sé stessi e nelle proprie competenze, e procedere, sempre guardando in alto e mai in basso. In due parole, era quello che qualcuno oggi accusa di vantarsi della propria professionalità, ma che sia quella reale, non quella presunta.

Anni di sacrifici, veramente documentati, e che nessuno potrà mai negare di aver vissuto. E la crisi che ti ha portato a tenerti tutto questo alle spalle. Momenti vissuti nella sicurezza economica che ora fanno parte solo del passato. Me non serve a questo punto piangere. Questo deve per forza far credere ancora e ancora di più, e spingere il pedale sull'acceleratore, manifestando apertamente la cosiddetta professionalità, anche e soprattutto in un momento in cui il lavoro si tramuta e c'è bisogno di investire in nuove competenze. Anche per rendersi credibile in un mondo sempre più esigente. Rendersi elegante, simpatico, disponibile al momento giusto anche conta, da abbinare alle competenze personali. Mostrare le proprie qualità, non nascondendo i propri limiti e dimostrarsi disponibile con chi vuole stringere un rapporto lavorativo con te. Anche questa è professionalità.

Per quello voglio sentirmi "professionale", con il giusto orgoglio, ma non facendo così un dispetto a nessuno, se non a quelli che pensano invece di vantarsi per quello che non sono, forse invidiosi, gelosi o magari semplicemente coscienti di non riuscire, e anziché sfoggiare la propria capacità, e che diamine, in qualcosa pur l'avranno, pensano di vivere di una costruita immagine, che però in realtà non ha nulla, e credono di potersi ritagliare uno spazio screditando i meritevoli con pochi, stupidi particolari, spesso inventati o rimaneggiati ad arte per farli sembrare veri.

La vita è concorrenza, anche spietata, ma in economia si parla di concorrenza leale. La concorrenza sleale non è consentita, le bugie non contano, non accumulano meriti, mentre le qualità e le capacità lo fanno, eccome

E dunque, dietro quella "professionalità" che sta intorno alla mia attività, non possono che esserci fattori umani che raccolgono innanzitutto i frutti di una vita fatta di sacrifici, che purtroppo non necessariamente è sintomo di benessere economico, specie in un sistema come quello attuale che non si costruisce sulla meritocrazia, ma tristemente su altri fattori che non sono adatti a spiegarsi in questo carteggio.

L'importante è comunque, ribadisco, sempre credere in sé, guardando al passato senza dimenticarlo mai ma ponendolo, diciamo, in un cassetto, e soprattutto andando sempre avanti, mirando verso l'alto e mai verso il basso.
30/01/2015
DAVIDE GUIDA

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