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lunedì 19 gennaio 2015

Ottimismo e buona volontà, le armi della professionalità, non opportunismo, non egoismo, non egocentrismo

Ne parlavo l'altro giorno a un importante colloquio di lavoro, con dirigenti di alto profilo e ora ne rifletto anche sentendo parole di altri.

A volte mi domando quanto si dà tanto per la propria professione, e l'Italia non è certo un terreno di gioco favorevole. Ho avuto una vera e propria azienda per quindici anni, cosa che in periodo di crisi è da considerare di tutto rispetto, come mi ha fatto notare l'altro giorno un influente dirigente regionale. Ma la durata è stata dettata soprattutto dalla volontà di crederci, strumento necessario per portare avanti quel lavoro, insieme a chi ha deciso di andare avanti con me e che ancora oggi è degno della mia stima.

Oltre la buona volontà, oltre la capacità, oltre il buon curriculum: l'ottimismo era sempre, più del know-how, l'arma per poter creare il nostro spazio in una realtà difficile come quella del nostro Paese. Le soddisfazioni sono state veramente tante, al di sopra di tutti gli ostacoli che si ponevano davanti. Gli incidenti di percorso c'erano (clienti scomparsi prima di pagare il prodotto avuto, giusto per fare un esempio, il caso più eclatante), la concorrenza era spietata, ma certo non erano le cattiverie che si vedono in altri ambiti come l'arte e la cultura, dove invece tanti finti "uomini" si credono di essere prime donne tentando di usare, inutilmente, l'arma della bugia perché non hanno quella della qualità.

Nell'attività che ho svolto, principalmente il programmatore di computer, ho visto amici e colleghi anche fra chi non conoscevi. Tranne rarissimi casi di gelosie (ma erano i casi isolati, e ne posso contare veramente pochissimi), di solito ci si aiutava, consapevoli che ognuno dei lavori era destinato alla propria clientela. Erano incarichi pagati anche bene, ma contrariamente a quanto si poteva immaginare, nessuno cercava di prendere il lavoro dell'altro, di sottrarlo con armi improprie, cosa che invece avviene, paradossalmente, dove i soldi non ci sono o, quando anche ci sono, si quantificano giusto in quello che aiuta a recuperare il viaggio in macchina o in autobus. Ma oggi, in nome della propria immagine, c'è chi prevarica e si introduce in quello che non gli compete, in nome non più del Dio Denaro, ma di una divinità peggiore, la Dea Immagine.

Avevo 16 anni quando ho scritto il mio primo programma per computer. Su carta, non avevo nemmeno il computer a casa, passai il listato a mia sorella che faceva lezioni private a un possessore di un Commodore 64 in modo che lo potesse digitare e far funzionare. Poi, ho sudato tanto, imparando a programmare a fondo lo Zx Spectrum, e quindi il PC, per mia passione ma perché pensavo un giorno di poter avere una attività redditizia contutto quello. E in realtà il sogno si è avverato, la "Formamedia" è esistita per tanti anni, grazie anche a quel know-how, ma come dicevo prima, con la forza di volontà e l'ottimismo che era mia prerogativa. Solo una crisi economica, le tasse che ti schiacciano e niente più ha portato alla chiusura di un marchio che definirei storico per me e chi l'ha condotto come me.

Credere, essere ottimisti, ma soprattutto amare il proprio lavoro. Ma non è che l'informatica, la videoripresa, la fotografia, il giornalismo, tutti mestieri da libero professionista, ti aiutino tanto a mantenere solidi quei principi. Eppure lo faccio, a denti stretti, perché l'amore per il mio lavoro e per me stesso mi conduce anche a farlo bene. Non sempre entrano soldi, anzi, si investe molto di più nel tempo e nel denaro di quanto lo facessi prima, ma è indispensabile.

E' giusto e sacrosanto essere riconosciuti economicamente nel proprio lavoro, ma è giusto anche dare a quel lavoro anima, emozione, pensiero perché venga svolto nel migliore dei modi anche quando non c'è un immediato rientro.

Non ho mai vissuto di privilegi, non ho mai sopportato chi vuole campare sulle spalle degli altri, convinto di poter avere tutto solo per diritto. Ma quale diritto, questo è un mondo di doveri, innanzitutto, e non solo di diritti. Il dovere è dare il proprio contributo con amore, senza pensare solo a privilegi, certo senza mai perdere la propria dignità, ma senza dimenticare che, in un momento di crisi senza precedenti, esistono anche i sacrifici, e invece cosa noti? Vedi che, non solo nel pubblico impiego, ma anche nel libero professionismo si gioca di mentalità di assistenzialismo, di privilegi, di diritti da acquisire ipocritamente, viceversa osservi che sono realmente pochi quelli che investono tempo e denaro (due realtà equiparate, perché il TEMPO E' DENARO!) per costruire il proprio futuro in una economia sempre più difficile.

Ancora ancora, lo riuscivo a capire e a tollerare in un lavoro pubblico, dove ci sono sempre diritti acquisiti per la logica del posto fisso, ma mi rincresce tantissimo vedere una logica simile in molti "privati", e in tutti i settori, compreso quello, ma non solo, dell'attività imprenditoriale. Per carità, questa non è professionalità, è egoismo, opportunismo, meschinità, cattiveria nei confronti di chi vuole credere ancora e di conseguenza investe tanto in sé stesso pur alla fine di riuscire a essere un nome nella società.

Per me, vivere vicino alle persone che del privilegio ne fanno pane quotidiano, non è assolutamente facile, e se posso le allontano; e se proprio non mi è consentito, allora gioco di compromesso (perché la vita è anche questo, ma non consideriamola una cosa scandalosa se capiamo esattamente cosa vuol dire...), ma giusto il tempo che sia realmente necessario: preferisco non mangiarci assieme allo stesso tavolo, non confidarmi con loro, non essere loro amico, non amarli. Per fortuna, sono pochi in confronto ai tanti, trovo sempre più accanto a me persone volenterose di crescere professionalmente e umanamente, che quindi ti rispettano e di conseguenza avranno rispetto.

Ed è proprio il rispetto, e non certo l’egoismo e l’opportunismo, che ci condurrà, pur se lentamente, in un sistema migliore.

Riflettiamo.

19/01/2015

DAVIDE GUIDA

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